Parigi 13 novembre 2015

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Fra il 14 e il 20 novembre 2015 ho fotografato i segni, le tracce, gli oggetti, le testimonianze, gli scritti, gli omaggi lasciati nei luoghi delle stragi e nel luogo emblematico per eccellenza, il monumento alla Repubblica, nell’omonima piazza. Fiori e messaggi cartacei, fotografie dei caduti, oggetti della vita attiva (libri, chitarre, biciclette, spartiti musicali), raccontano un “lutto culturale” mai urlato, sempre serio e accorato, denso di citazioni (Brecht, Luther King, Einstein, Hannah Arendt, Voltaire, Gandhi, Hemingway, Jaurès, Camus, Jacques Brel, i Beatles, Charles Péguy, Platone, Kant, il Corano, per ricordarne alcuni) visibili nei libri, nei frammenti, nelle pagine strappate, nei graffiti illuminati da migliaia di candeline; pagine di scolari, poesie d’amore, rivendicazioni giovanili della gioia di vivere insieme; la solidarietà dell’esercito di liberazione del Kurdistan siriano e di Kobane; le parole (in italiano) di Paolo Borsellino, il ricordo dei morti (del giorno prima!) della strage di Beirut. Cultura, storia e politica mescolate senza stridore a coprire appena, senza cancellarla, la sinopia un po’ sbiadita dei graffiti di gennaio per i caduti di Charlie Hebdo e del supermercato Hyper Cacher. Onnipresenti le parole fondanti Liberté Egalité Fraternité, ma anche la più moderna Laïcité. 

Col tempo gran parte delle scritte e degli oggetti sono scomparsi o sono stati sepolti da nuovi e massicci omaggi. Ciò accresce l’utilità e l’interesse della memorizzazione visiva effettuata nei giorni immediatamente vicini agli eventi. Peraltro il Comune di Parigi ha deciso di creare un archivio dei materiali lasciati nei luoghi dei memoriali ed è già iniziata l’opera di raccolta e classificazione 

Ma se mi si chiede che tipo di fotografie sono le mie, la risposta è difficile: inizierei col dire che cosa non sono. Non sono “belle fotografie” anche se sono dense di materia, di ombre, di linee, perché ho tentato di realizzarle con il rispetto e l’amore dovuto alla grafica e alla composizione, e cioè alla visione, non già per un’insensata ricerca estetica, ma per rendere più diretta e chiara la lettura dei messaggi incorporati. Non è un reportage sul terrorismo islamico né sulle vicende umane delle vittime o di persone a loro legate né sulla vita di Parigi dopo gli attentati.

Poiché condivido l’opinione di chi nega al fotografo e ai suoi prodotti lo statuto dell’Arte, io, soprattutto in questo mio lavoro, mi sento non artista ma documentarista o archivista. Queste mie immagini non sono nemmeno testimonianza di una realtà umana in atto, ma archiviazione di simboli, parole, messaggi relativi all’attacco terroristico del 13 novembre. Sono insomma la “rappresentazione di una rappresentazione” o in altri termini “un mezzo che porta un altro mezzo” perché offrono - come momento costitutivo dell’immagine – parole, testi e segni da leggere e da meditare. 

Ma che cos’è questa narrazione che io riporto? Ha come tema il dolore, l’amore, la morte, la dignità, la felicità, la libertà, la fratellanza; ha come bersaglio il fanatismo, l’integralismo, l’oscurantismo, l’ignoranza, anche la semplice stupidità (connerie). Però la cosa che più mi ha colpito è la struttura di questa narrazione, realizzata in pochi giorni dopo gli attentati, fatta da migliaia e migliaia di gesti che esprimono migliaia e migliaia di pensieri, fissati in tanti segni diversi ma che sembrano concepiti da un’unica mente o da tante menti dirette da un’unica segreta regia. Era come se io percepissi un vasto brusìo in tante lingue di esseri umani che si indignano, si confidano, si consolano, si danno la mano. A pochi metri o centimetri di distanza Bertolt Brecht sembra plaudire alla lotta dei Curdi che sono solidali con Parigi; Platone con La Repubblica fa appello ai musulmani perché cerchino la luce; sul poster del “bacio di Doisneau” una mano ignota ha scritto in greco ADELPHI (fratellanza); il giudice Borsellino, ucciso dalla mafia nel 1992, rifiuta la paura, come tanti messaggi qui; gli esuli Iraniani dei tempi di Khomeini sono col popolo francese contro l’integralismo; Luther King fa eco a Gandhi, Camus è per la pace come i cultori del rock al Bataclan.

Perciò, anche se è evidentissimo l’orgoglio per la Città ferita e l’amore appassionato per la Patria, è impossibile vedere questa rappresentazione come un fatto tutto parigino o anche solo francese, perché si percepisce un naturale internazionalismo di concetti, di lingue, di storia, di memoria, di valori. Liberté Egalité Fraternité a cascata generano Laïcité e giustizia, sacralità della vita e gioia di vivere, rispetto per la donna e amore per l’arte e la musica, libertà di pensiero e di espressione e cultura come luce: è un tutt’uno. Allora ho pensato che dietro questo brusìo ci fosse l’anima dell’illuminismo da tempo negletta, frantumata, dispersa, che però la violenza fa sì che si riscuota e ricomponga, pur mantenendo i diversi idiomi geografici, storici, generazionali. Percepire queste parole, questi abbracci, questo “convenire” da lontano, di un popolo invisibile ma reale, ha generato in me un’emozione profonda che mi ha determinato prima a raccogliere e poi a condividere queste immagini. 

Ma c’è dell’altro: a mente fredda, riascoltando i beceri appelli alla difesa delle “nostre radici” così come i generici elogi delle “radici altrui”, ho pensato che invece è proprio qui, nei valori dell’illuminismo, che stanno le radici da difendere e da nutrire. Radici forti, come l’idea che uno Stato laico, separato dalla religione, può garantire non solo qui, ma in tutto il mondo, diritti e doveri di tutti, bianchi o colorati, nativi o immigrati, credenti o atei, devoti o bestemmiatori. Queste radici, rispetto a tutte le altre, hanno un grande vantaggio, una qualità speciale: sono idee e diritti fondamentali, universali; sono un ceppo adatto a qualsiasi innesto. Perciò meritano difesa e cura inflessibili e una tenace esportazione: certo, il veicolo di diffusione migliore sarebbero le parole che fanno luce, anche intransigenti, e non le armi; ma, come ben sanno - per esempio - i Curdi,  chi non vuol né parlare né  ascoltare, ma solo assassinare, va contrastato con ogni mezzo.

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Brescia, gennaio 2016

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